GIROLAMO E BERENICE

Da un’arringa processuale del 1789

1. In una bettola di un quartiere malfamato

Il mangiatore di fagioli (particolare) di Annibale Carracci

Nota 1

L’osteria della Scimmia era una dei più noti e malfamati locali della Bologna fine settecento ed era localizzata in vicolo Santo Spirito, a quei tempi chiamata popolarmente via dei bordelli. Da notare che la torre dei Catalani lì situata, era essa stessa utilizzata a tal fine, nonostante che fosse di proprietà del vicino convento dei Celestini che ne riscuoteva l’affitto dal tenutario.

Erano le nove di sera. Girolamo Ridolfi, entrò nell'Osteria delle Scimmie (Nota 1), nel quartiere più malfamato di Bologna e, avvicinatosi all'oste, gli ordinò da mangiare, indicandogli dove si sarebbe seduto. Vi andò e attese. Gli venne servito un disgustoso piatto di fagioli, un pezzo di pane e un bicchiere di vino. Si mise a mangiare di malavoglia guardandosi intorno.

I tavoloni di legno erano quasi tutti occupati dalla feccia della città: gente di malaffare, operai di bassa lega, sfaccendati, femmine oscene. Il tanfo della sporcizia, della fuliggine e delle persone era frammisto all'insopportabile odore del vino cattivo; il chiasso era esasperante; tutti parlavano ad alta voce, sia che narrassero un fatto, sia che ordinassero da bere, sia che lanciassero disgustose battute alle donne con cui si accompagnavano.


Rissa in osteria (Incisione di G. Gandolfi)

Da un gruppo di uomini poco distanti dal suo tavolo si alzò una voce alterata dal troppo bere:

«Vieni qui, bella biondina, che ti faccio sentire ciò che ti piace.»

«Lasciami in pace, bastardo senza soldi!»

L'uomo, fra le risate dei compagni prese la ragazza per un braccio e le affibbiò pesantemente una sberla. Lei si divincolò imprecando e maledicendo, ma la sua reazione non fece che aumentare il divertimento. L'uomo la stese a forza su un tavolone e sotto l'incitamento di tutti, slegò la corda che gli sosteneva i calzoni...

Nota 2

La rissa qui descritta è puramente inventata, ma non è affatto irreale. Documenta infatti Marco Poli nel suo “Il conte ladro”: «Fu coinvolto in una rissa scoppiata in un’osteria del mantovano. La rissa si concluse ai coltelli e con un uomo rimasto nel terreno».

A questo punto Girolamo intervenne e, afferrando l'uomo alle spalle con due mani possenti e attirandolo a sè, lo colpi con una ginocchiata ai lombi facendolo cadere svenuto a terra. Poi estrasse il coltello e lo puntò verso gli astanti. Non fu la vista dell'arma a fermare i più facinorosi, ma la mano ferma e lo sguardo deciso di chi l'impugnava. Per sopraffarlo molti vi avrebbero lasciato le penne e cosi tutti fecero finta di nulla e si misero quieti, come se niente fosse accaduto (nota 2).

Girolamo prese delicatamente il braccio della donna ancora riversa sul tavolo, l'aiutò a sollevarsi e la condusse fuori.

2. Un modo strano di piacersi


Ambiente popolare nel dipinto
”Scena di commiato”
di Mauro Gandolfi (1700)

Camminavano silenziosi sull'umido selciato della via. La notte fresca permise alla donna di calmarsi e di riprendersi dallo spavento.

«Grazie, - gli disse - me la sono vista proprio brutta.»

«Perchè eri li?»

«E dove dovevo essere? Sono vedova, non ho nessuno... Mi vendo, ecco tutto, ma al prezzo che voglio io e con chi pare a me.»

Nell'insieme la donna non era nè giovane nè bella, ma i capelli biondi, gli occhi verdi, la pelle chiara, il viso regolare, la rendevano oltremodo piacente e non priva di fascino; non sembrava affatto una puttana, tutt'altro: se fosse stata in un luogo diverso e con vestiti meno laceri, avrebbe potuto benissimo apparire di ceto più elevato; se non proprio nobile, certamente a livello di dama di compagnia o di preferita di un qualche aristocratico.

«Come ti chiami?»

«Berenice. E tu?»


Girolamo in una stampa d’epoca

«Girolamo. Vuoi stare con me?»

«Penso di doverti la mia compagnia almeno questa notte. Dove andiamo?»

«A casa mia e non per questa notte. Per sempre.»

La risposta, più che convinta, spontanea, sorprese la donna che si fermò. Guardò l'uomo che le stava dinnanzi come per valutare che tipo fosse, ma non potè capirlo. Vide solo che era piuttosto brutto, con un naso pronunciato, due occhi grandi e molto vicini, la bocca ampia, il mento appuntito; ma aveva il viso ben lavato e rasato, i capelli pettinati in ordine, una pelle liscia lievemente profumata; i suoi abiti erano modesti, ma decorosi e non privi di una certa eleganza. Solo le mani, pur se pulite, sembravano trasandate, essendo ruvide e callose, come quelle di un qualunque operaio.

«Ti metteresti con una puttana e per sempre?» Gli chiese Berenice, come se volesse sentirsi ripetere la proposta e, nello stesso tempo, far meglio capire all'uomo a cosa andasse incontro.

«Si, se sono sicuro che mi piace e che continuerà a piacermi. E tu mi piaci. Il resto non ha valore.»

«E tu, cosa ci facevi all'osteria?»

«Ho la casa qui vicina, sono andato a mangiare. Il posto è quello che è ma ti sfami con pochi centesimi... e poi mi piace osservare le persone.»

«Cosa fai nella vita?»

«Ho viaggiato parecchio, ma da qualche anno sono a Bologna e credo che qui mi fermerò per sempre. Comunque, ti ho fatto una domanda: qual'è la tua risposta?»

Berenice guardò Girolamo fisso negli occhi, stette alcuni istanti in silenzio, come per soppesare meglio le sue intenzioni, poi disse;

«Si, sarò la tua donna.»

E fuor dubbio che per Berenice l'aver trovato un compagno come Girolamo era stata una fortuna da prendere al volo. La sua situazione, infatti, poteva solo migliorare, tanto più che Girolamo le poteva garantire quantomeno un periodo di vita sicura. Fu quasi automatico, quindi, che lei accettasse il ruolo di mantenuta, con lo stesso spirito con cui aveva fatto la meretrice, nè in verità esistono sostanziali differenze fra i due mestieri.

Più difficile capire cosa avesse spinto Girolamo ad unirsi ad una donna che, per l'ignominiosa situazione che aveva determinato il loro incontro, per lo squallido luogo in cui s'era verificato e per la vergognosa vita che essa conduceva, poteva suscitare in un uomo qualsiasi sensazione, ma non certo un sentimento d'amore. Eppure era stato cosi. E probabile che lo stesso atto con lui l'aveva liberata dall'energumeno, richiedesse a necessario corollario, un’ulteriore azione di completamento, per dare vera e definitiva ragione all’eroico salvataggio compiuto. In altre parole, intervenire sull'ubriaco e lasciare la donna nello stesso stato in cui si trovava, non sarebbe stato affatto eroismo, ma una semplice guasconata di nessuna utilità.

Fatto sta che, mentre Girolamo accolse Berenice nella propria vita, spontaneamente non appena la vide, accettandola come compagna ed amante, senza nulla sapere di lei, se non che era una comune, misera e sporca puttana, lei mutò sentimentalmente in tempi successivi, quando cioè, vuoi per l'effettivo mutamento della sua vita, vuoi per la dolcezza con cui il compagno la trattava, vuoi per il reale fascino che l'uomo aveva, il legame che la univa a lui venne gradito e goduto con quella sincerità e libertà d'affetto che solo l'amore, il vero amore, sa dare e sa procurare.

E per entrambi fu un amore bello.

3. Una vita incredibile

Girolamo - gli chiese un giorno la donna - di cosa viviamo noi?»

«Di denaro, come tutti.»

Nota 3

Girolamo Ridolfi era noto nell’alta società bolognese del tempo come Conte Lucchini e, sotto tali vesti, la frequentava, sia pure con alterne fortune. Non era però un titolo nobiliare indebito. Nato, infatti, l’11 disembre 1742 a Cadiopo (Verona), il suo vero nome era Girolamo Baldassarre Giovanbattista ed era figlio del Conte Antonio Ridolfi. Il Cognome Luccini lo assunse dopo essere evaso dalle prigioni venete, dove scontava una pena per aver coniato monte false della Serenissima.

«Ma tu non lavori, non commerci, non hai rendite. Eppure in questi mesi hai speso tanto per me e per questa casa e, come se non bastasse, non erano passate che alcune settimane dal giorno dal nostro incontro in quella bettola che già, vestiti da signori, siamo andati a ricevimenti in splendidi palazzi, dove ti hanno chiamato Conte Lucchini (nota 3). Chi sei in verità?»

«Sono Girolamo Ridolfi, detto Conte Lucchini o, se preferisci, sono il Conte Girolamo Lucchini, detto Ridolfi. Cosa faccio? Cerco di vivere al meglio sfruttando le ricchezze che ho: intelligenza e capacità di usarla. I soldi? Questi si fanno in modo molto semplice. Vuoi vedere come? Vieni...»

Strumenti originali realizzati di propria mano
da Girolamo Ridolfi

Uscirono di casa ed entrarono in un vicino vicoletto. Qui Girolamo aprì un portone utilizzando stranissime chiavi. Entrarono: era un'officina, non grande, ma piena di tutti gli attrezzi necessari per lavorare qualsiasi materia, dal legno al ferro, dal vetro alla ceramica. Tutto era in ordine, con pulizia inusitata per un laboratorio di tal genere.

«Ecco - disse Girolamo - questo è il mio posto di lavoro.»

«Sei un artigiano? Mi sembra impossibile!»

«Artigiano? No! Sono un artista e qui la mia arte si sviluppa. Vedi questo aggeggio? É un piccolo crogiuolo per la fusione dei metalli; e queste lime? Sono fortissime e rodono a perfezione anche il ferro più duro. Nelle mie mani, e con questi strumenti, ogni materia si trasforma come io voglio.»

Berenice era esterrefatta. Non capiva. Come poteva un artigiano con un così piccolo laboratorio fare soldi a palate e frequentare la migliore società? Gerolamo intuì l'imbarazzo della compagna:


Palazzo dei Notai, dove’era la rivendita del sale.

Nota 4

Il furto fu compiuto la notte del 23 febbraio 1773, presso la Chiesa dei Santi Fabiano e Sebastiano ed il bottino fu un'ingente quantità di tessuti preziosi.

Nota 5

A Bologna c’erano due “salare”: la prima, ancora esistente, era il magazzino vero e proprio di raccolta il sale proveniente per via fluviale dalle saline di Cervia ed era localizzato al centro del “porto” di Bologna, a porta Lame; l’altra era lo spaccio di rivendita, posto all’interno di palazzo dei Notaia, all’angolo di via de’ Pignattai, dove stranamente ancora oggi c’è un esercizio di Tabaccheria (rivendita di sali e tabacchi, come si diceva fin pochi anni fa).

 

«Tesoro - le disse - Ti ricordi quel furto di tessuti subito di anni fa dalla bottega Rigetti (nota 4)? Con queste lime ho fabbricato le chiavi per aprire le saracinesche. Mi ci è voluto molto tempo e molta fatica, ma alla fine erano perfette. Quando le ho introdotte nelle toppe, hanno girato meglio di quelle vere. Ed il furto alla Pubblica Salara (nota 5)? Quello è stato più difficile. Non solo dovevo fabbricare le chiavi, ma anche scardinare senza fare rumore, alcune porte chiuse all'interno. Questa boccettina contiene un liquido prodigioso che trasforma il metallo in acqua bollente. Tutto si è svolto alla perfezione e più di settecento scudi sono passati dalla Salara alle mie tasche...

«Tu sei un ladro allora?»

«Ladro? No, sono un artista te lo detto. Il denaro mi serve, questo è vero, ma non mi da alcun piacere. Il vero piacere me lo procura la riuscita di ciò che ho progettato. Vedi queste monete? Sono cento scudi nuovi, nuovi, ma sono falsi, falsi come le parrucche sulle teste degli aristocratici. Li ho fatti io, limando ogni millimetro del conio. Mai nessuno ha sospettato che fossero monete false.»

«Ma tutto questo è pazzesco! Ma ti rendi conto di che rischi corri? Se ti prendono t'impiccano in piazza...

«E perchè mi dovrebbero prendere? Innanzitutto rubo come Girolamo Ridolfi e quando ciò avviene, il Conte Lucchini è in viaggio d'affari. Quando Lucchini torna, Ridolfi non c'è più. Poi fra un furto e l'altro, faccio passare diversi anni. Non sono come quei ladruncoli che improvvisando sfruttano ogni occasione e che prima o poi vengono presi. Io studio attentamente i miei piani, controllo tutto il necessario, valuto ogni possibile imprevisto e solo quando sono convinto di ciò che faccio, agisco. Prendere me? Impossibile.»

«E perchè solo ora mi dici queste cose?»

«Perchè la mia arte doveva pur conoscerla qualcuno. E tu sei la mia donna e devi sapere tutto di me. É la prova del mio amore, la più grande che posso Ora sono felice, veramente felice. Ho tutto ciò che voglio. Ho te che amo e ho in mente una impresa che sbalordirà il mondo.»

«Mi fai paura, Girolamo...


Palazzo della Banca del Monte.
in via Indipendenza

«Svaligerà il Monte di Pietà!»

«Il Monte di Pietà?»

Berenice rimase senza parole. Girolamo in quel momento era in uno stato di gioia irrefrenabile. Sembrava quasi che si liberasse di un peso interiore da tempo voleva esternare. Era pazzia quella, o era l'estro di un genio che si stava realizzando? O erano le due cose insieme? Berenice non poteva capire. Si sentì soltanto orgogliosa come non mai del suo uomo che solo ora conosceva davvero: non un piccolo truffatore, un frequentatore di gente malnata, un gentiluomo decaduto che arrancava fra nobili... No! Girolamo, il suo uomo, era qualcosa di superiore, infinitamente superiore.

Prese in mano una moneta; sembrava impossibile che fosse falsa, eppure lo era.

Guardò Girolamo, gli si avvicinò e lo abbracciò, stringendolo forte e cercandone appassionatamente la bocca.

4. Due clienti raccomandati e raccomandabili


Canonico

Nota 6

La Congregazione era retta da un consiglio di 12 membri tutti denominati presidenti e che si alternavano mensilmente (assumendone il «priorato») alla guida dell'Istituto.

Nota 7

Il Segretario della Congregazione («Cancellarius a Segretis») era di norma un notaio con funzioni anche direttive e occupato a tempo pieno nell'istituto. Il Negrini fu Segretario dal 1772 al 1797.

 

La coppia, accompagnata da un frate, fu annunciata al Canonico Giovanni Malvezzi, Priore di turno (nota 6) della Congregazione del Monte di Pietà, e dal suo segretario notaio Dottor Giuseppe Maria Negrini (nota 7).

Fatti accomodare in un elegante ufficio, i due visitatori si presentarono come il Conte Lucchini e Donna Berenice offrendo all'attenzione dei notabili qualificate credenziali. Poi sedettero.

Il Canonico Malvezzi, da dietro al bancone li osservò con occhio critico: una bella coppia, molto elegante, distinta e chiaramente simpatica; decise pertanto che i due meritavano la sua attenzione.

«Illustrissimi, in cosa posso servirvi?»

«Credo che siano sufficienti queste credenziali per garantire Sua Signoria. - rispose l'uomo - Nel caso però che ciò non bastasse, lei potrà avere ulteriori informazioni dai Signori Conti Buoncompagni, e Marchesi Fantuzzi, o da chi ritiene meglio secondo discrezione.»

«Vedo senz'altro che siete persone dabbene. Mi dica di grazia le sue necessità.»

«Vorrei depositare alcuni averi in questo Monte, semprecchè la rendita nascente sia sufficiente e, soprattutto, se v'è la certezza assoluta di poterli ritirare quando e come vogliamo.»


Andrea Giovanetti, Cardinale di Bologna, all’epoca dei fatti

«Illustrissimi, tutto ciò è fuor di dubbio! Siete sotto la garanzia della Chiesa e del Cardinal Legato di Bologna. Per quanto concerne le rendite vedrete che potremo trovare il giusto punto d'incontro. Ma occorre tener presente che i poveri ed i derelitti che noi assistiamo devono avere la loro parte...»

«Giustissimo, nè mancheremo noi di soddisfare questa santa esigenza.»

Il Canonico accolse con molto piacere tale risposta e il dialogo continuò fino a raggiungere un accordo di massima. Il Conte Lucchini, però, volle anche vedere i luoghi ove i suoi beni sarebbero stati conservati.

«Per assicurarmi - disse - che non corrano rischio alcuno, specie contro quei malfattori nemici della Chiesa ai quali tanta gola fanno le ricchezze altrui.»

Fu il Dottor Negrini ad accompagnare la coppia ed a mostrare con malcelato orgoglio le varie stanze di stoccaggio, le scaffalature, gli armadi blindati, le porte e le finestre rinforzate. Il tutto fu di completa soddisfazione per il Conte Lucchini, che esternò al notaio il proprio entusiasmo per ciò che aveva visto.

«Vede, egregio Dottore - volle specificare meglio Lucchini - noi siamo convinti che in questo poderoso palazzo nessuno possa entrare, ma dentro, non è possibile che vi sia un qualche malintenzionato che, in possesso delle chiavi possa combinare un qualche guaio ai nostri beni?»

Nota 8

Si tratta di Francesco Miserotti, un funzionario dipendente del Monte che sottrasse nel giro di pochi mesi 50.000 lire, falsificando le registrazioni dei depositi. Fu scoperto, processato e impiccato nel 1656

«Illustrissimo, questo è il Banco più sicuro di tutto lo Stato della Santissima Chiesa. La nostra tradizione di serietà e sicurezza è, grazie alla Divina Provvidenza, ultratrecentenaria. In tanti anni, vi è stato solo un caso di furto fatto da un funzionario disonesto (nota 8) , ma fu subito scoperto. D'altra parte, il nostro armadio blindato, quello là, vede come è assolutamente sicuro? Ha ben tre chiavi: due sono riposte in quest'altro armadio ugualmente robusto, l'altra, di cui esiste un’unica copia, è questa e alla sera la rendo al Priore Presidente che se la porta seco a casa.»

Il Conte Lucchini osservò attentamente la chiave: era di foggia stranissima, con una barra particolare e con tre spine elaboratissime. La fissò attentamente e se ne impresse nella mente le caratteristiche. Poi assicurò il notaio:

«Credo proprio che potrò dormire sonni tranquilli. La ringrazio, Signor Notaio, e non vi è dubbio che, compiuti gli urgenti affari che ho in corso, on mancherò di usufruire del servizio che questa vostra Santa Congregazione offre alle persone oneste.»

I due furono accompagnati alla porta e si allontanarono con un promettente e molto gradito «arrivederci». Il Notaio Negrini li guardò uscire e alzando gli occhi al cielo, mormorò:

«Quando le persone sono dabbene, lo si vede subito.»

5. Il furto del secolo


Il cortile del Palazzo del Monte e la finestra da cui fu compiuto il furto

Era la notte fra sabato 24 e domenica 25 gennaio 1789. Girolamo si caricò un pesante zaino sulle spalle, baciò Berenice e uscì nel buio della notte, inoltrandosi negli stretti vicoli dietro San Pietro.

Giunto nella strada che fiancheggiava il palazzo del Monte, si fermò sotto l’ala muraglia uro che lo recintava. Estrasse dallo zaino una lunga scaletta di corda i cui due capi terminavano con rampini a quattro ganci, la fece roteare e la lanciò oltre la sommità della parete. Le ancore fecero presa, ma per sicurezza tirò forte la scala per controllarne la resistenza. Tutto bene.

Si rimise lo zaino in spalla, poi agguantò la scala di corda con entrambe ani ed iniziò faticosamente a salire, tanto che a metà via dovette fermarsi per prendere fiato. E fece bene, perchè così si accorse che, in istrada, ad una ventina di metri dal punto in cui aveva iniziato la salita, avanzava qualcuno con una torcia. Tirò immediatamente su la parte della scaletta che penzolava sotto di lui e stette in attesa.

Era una ronda di gendarmi. Nei sui piani ciò non era previsto. Aveva sostato per notti e notti in quel punto della via e alla stessa ora senza mai veder passare anima viva. Imprecò fra se e se:

«Maledizione! Proprio stanotte un cambiamento!»

La ronda sostò proprio sotto di lui e così poté udire il discorrere dei militare. Erano lì solo casualmente, senza una specifica ragione e ciò lo consolò, anche se quei minuti trascorsi appeso al muro sulla testa di tre gendarmi gli sembrarono ore.

Passato il pericolo, Girolamo continuò l'ascesa e ben presto si trovò a cavalcioni del muro. Raccolse la scaletta di corda e prese fiato. Infine la gettò nel giardino che divideva il muro dal palazzo e ridiscese. Una volta a terra cercò di orientarsi nel buio e di ricordare quale fosse la finestra dell'Ufficio del Presidente, che aveva battezzato come la più idonea per introdursi direttamente ai piani superiori del Palazzo e nella stanza degli armadi blindati. Secondo la pianta dello stabile che aveva memorizzato in occasione della visita, doveva essere la terza del secondo piano e lì sotto si diresse, attraversando il giardino. C'erano circa sei metri da terra alla finestra ed in questo caso la scaletta di corda non sarebbe servita, mancando qualsiasi appiglio per agganciare al volo i rampini.

Ma Girolamo questo lo sapeva, ed estrasse dallo zaino una serie di robusti bastoni di legno di varie misure. Sotto le sue mani, quei bastoni, predisposti per essere incastrati ad arte uno nell'altro, si trasformarono in una scala a pioli della misura necessaria per raggiungere la finestra.

Salì comodamente e si fermò sull'ultimo piolo, con all'altezza del petto. la grossa inferriata che proteggeva la finestra.

Se la scaletta smontabile gli era ottimamente servita per salire, ora non garantiva più l'appoggio e l'equilibrio necessario per limare le sbarre di ferro. Ma tutto era stato previsto e dallo zaino - magico contenitore – Girolamo estrasse una tavola di legno che, approntata con appositi ganci, poté fissare all'inferriata. Aveva così creato un piccolo pontone su cui si mise a sedere. Cominciò a limare una barra verticale dell'inferriata, lavorando lentamente e con forza per limitare lo stridio dei ferri. Fu un lavoro faticosissimo durò diverse ore, ma alla fine la breccia fu aperta. Ora toccava alla vetrata. Con un diamante tagliò lungo una delle losanghe di piombo dell'intelaiatura che costituiva l'anta della finestra, un pezzo quadrangolare di vetro giallo e nell'apertura così creatasi infilò una mano per girare dall'interno la maniglia; la finestra fu agevolmente aperta.

 

Gli strumenti originali con cui Girolamo riuscì a penetrare nella banca

Girolamo si introdusse nell'ufficio presidenziale, compiendo così la parte più pericolosa dell'azione, quella cioè che si doveva svolgere all'aperto e quindi, più visibile a passanti o a guardie. Tirando, quindi a sé la scaletta e la mensola, le smontò riponendole nello zaino; poi incastrò nell'inferriata i pezzi che aveva segato da essa fissandoli con pece nera e ugualmente fece con il vetro tagliato.

Quando chiuse la finestra, Girolamo si trovò all'interno del Monte di Pietà, senza che fosse rimasto all'esterno alcun segno del suo passaggio e dell'effrazione compiuta.

Ora poteva riposarsi. Prese un pezzo di pane ed un barilotto di vino buono che aveva portato con sé e si rifocillò, ritemprando le forze per una buona mezzora. Quindi tornò al lavoro.


Le chiavi originali della Banca del Monte che Girolamo dovette falsificare

Usando uno dei tanti grimaldelli che si era costruito, aprì senza sforzo la porta che dava nell'ufficio della segreteria dove erano i due armadi blindati, il primo dei quali, forzato anch'esso agevolmente con i soliti attrezzi, gli permise di impossessarsi di due delle tre chiavi necessarie ad aprire l'altro. Le infilò nelle rispettive toppe, e le girò, udendo gli scatti interni dei catenacci. Estrasse quindi dallo zaino la terza chiave che aveva preparato seguendo l'immagine dell'originale che si era fissata in mente quando il Notaio Negrini gliela aveva mostrata. La infilò nella toppa e non senza emozione provò a girare.

La chiave falsa fece resistenza. Non si sorprese. Per quanto la sua capacità di fabbro fosse notevolissima, sarebbe stato un miracolo riprodurre una .chiave di tal fatta, senza l'originale e fidandosi solo della propria memoria. Ora bisognava capire quali tacche fossero da modificare e vi provvide ricoprendo la chiave di cera, introducendola ancora nella toppa e forzandola di nuovo. Sulla cera rimasero dei segni, seguendo i quali cominciò a limare, usando le ginocchia come morsa. Ripeté più volte l'operazione ma sembrava proprio che la chiave non volesse saperne di violare il catenaccio. Solo dopo ore e ore di lavoro udì l'interno del meccanismo scattare.

Contemporaneamente la campana di San Pietro suonò il Mattutino.

Non aprì l'armadio. Non era il contenuto del forziere che gli interessava, ma il successo della sua azione, l'averla compiuta secondo le sue previsioni e senza intralci di sorta. La soddisfazione supero di gran lunga la tensione così, presa una coperta, si sdraiò su di una cassapanca e si addormentò tranquillo. Tanto, era domenica, e nessuno sarebbe venuto a disturbarlo.

Quando si svegliò era pomeriggio inoltrato. Solo allora aprì l'anta dell’armadio e iniziò a trasferirne il contenuto in un sacco. Compì quell'operane lentamente, con un certa riluttanza e senza particolari entusiasmi, nonostante che gli oggetti preziosi, i gioielli e le monete d'oro costituissero un bottino ben superiore a quello che aveva pensato. Il Sacco si riempì complamente.

La campana suonò il Vespro. Attese ancora un'oretta affinché fuori fosse completamente buio, poi si avvicinò alla finestra, la scavalcò e compì a ritroso e con i medesimi strumenti ed attrezzi, il percorso fatto la notte precedente Non tralasciò neppure, quasi a volersi far beffa del Monte, di richiudere a chiave gli armadi e di ripristinare il vetro della finestra e l'inferriata, così che nessuna traccia del sua passaggio potesse essere scoperta.

6. Un letto ricolmo di preziosi

Quando giunse a casa, Berenice era in uno stato penoso di ansia. Abbracciò Girolamo ringraziando Dio del suo ritorno e baciandolo ripetutamente su tutto il volto. Poi gli chiese come era andata e lui le mostrò il sacco:

«Alla perfezione - disse - il risultato delle mie fatiche è qui dentro. Aiutami a portarlo in camera.»

Il sacco fu ribaltato ed il suo contenuto fatto cadere sulle coltri del letto.

Berenice guardò con cupidigia il ricco bottino e, presa da folle frenesia, immerse le mani in quel mucchio di gemme ed ori che mai avrebbe immaginato di vedere. Poi si girò verso Girolamo per andargli incontro e riabbracciarlo, ma cambiò idea. Si fermò e cominciò languidamente a denudarsi, prendendo poi ad una ad una le gioie che stavano sul letto per mettersele al collo, alla vita, nei capelli, alle braccia e alle caviglie, così da trasformarsi quasi in un idolo pagano.

«Eccomi a te, amore» Gli disse allargando le braccia.

Girolamo la baciò accarezzandole il corpo sotto il tintinnare delle decine di gioielli e seppure travolto dalla passione, non poté fare a meno di pensare che le ricchezze, per quanto belle ed eccitanti, erano molto scomode per fare l'amore.

7. Tutta la città ne parla


L’editto d’impunità per chi avesse, essendo complice, denunciato il colpevole del furto al Monte

Il furto venne scoperto il lunedì pomeriggio. Fu un colpo tremendo per gli amministratori del Monte: 68 pegni preziosi sui quali esistevano prestiti ben 33.116 lire, ed un ammontare di monete d'oro per 4.238 lire. In tutto quasi 10.000 scudi! Si trattava del furto del secolo e mentre la Curia emetteva bandi contro gli autori, promettendo ai complici l'immunità ed un compenso notevolissimo di denaro se avessero denunciato il colpevole, le indagini de1 bargello non ebbero alcun esito.

Una qualche congettura la si poté fare solo quando, diversi giorni dopo, si scoprirono il vetro riattaccato e l'inferriata ripristinata, ma il mistero rimase su tutto il resto e così, nelle osterie, per la strada, nei salotti nobiliari, non si parlava d'altro.

«Dica lei, che ha una fervida fantasia - domandò durante un ricevimento il Marchese Davia al Conte Lucchini - come può essere successo il fatto.»

«Oddio - rispose ridendo il Conte - proprio non lo so. È certo che se conoscessi l'ideatore di questo piano criminale me lo farei amico... Lavorerei senz'altro meno e con più reddito.»


Nobili del ‘700 in conversazione

Tutti gli astanti risero, tranne l'avv. Magnani che constatò seriamente:

«Io credo che vi sia poco da ridere, illustrissimi Signori. Una mente criminale che ha così concepito e realizzato il furto del Monte, è ben più pericolosa di quanto possiate immaginare. Occorre catturare il ladro al più presto.»

«Lo cattureranno vedrà - sentenziò il Marchese Davia - e lo impiccheranno senza pietà.»

«Farebbero male! - osservò Magnani - L'ingegno e l'abilità del reo si ravvisa così fuori dall'ordinario che sarebbe più vantaggioso per la società utilizzare piuttosto a fin di bene tali indubbie attitudini, anziché, condannandolo a morte, rinunciare a priori ad un così pregevole recupero (nota 9).»

Nota 9

Testuale. L'affermazione qui riportata è tratta dall'arringa dell'avv. Magnani fatta in difesa di Girolamo Lucchini.

«Per quanto me è dato capire, lei, avvocato, se il ladro fosse preso, lo difenderebbe in qualità di legale.» Domandò il Conte Lucchini.

«Senza dubbio! Ma attenzione! Non lo giustificherei per l'azione commessa, questo no!, ma sosterrei e credo a buon ragione, ch'egli non sia un vero e proprio criminale. A mio parere è una persona di genio che ha trovato questa strada per affermare la sua intelligenza. Vede, Conte, io credo che egli sia un artista, un vero artista. Se il bottino fosse ritrovato, le domando: quale danno vero ha egli recato alla società? Nessuno! Egli ha solo dimostrato di essere un genio e le persone di genio, miei cari amici, io le ammiro profondamente.»

Quelle frasi dette dal massimo luminare bolognese della scienza giuridica, fecero provare al Conte Lucchini un'immensa intima soddisfazione, tanto da sbilanciarsi un po' nella conversazione.

«Capisco, avvocato, e forse anch'io la penso così, tanto che una certa idea di come possa essere avvenuto il furto, ce l'ho. Credo che il ladro abbia usato scale speciali, di corda per esempio, facilmente arrotolabili, o di legno, ma smontabili. Non potrei altrimenti spiegarmi come avrebbe potuto scalare e scendere simili altezze senza lasciare tracce del suo passaggio. Credo poi ch'egli sia uno pratico della lavorazione del ferro, tanto da poter ricostruire dal nulla una chiave falsa, avendo a disposizione solo la toppa della serratura. Se così è, avrebbe agito da solo, senza complici, sfruttando unicamente il proprio genio e la propria capacità artistica.»

Mentre parlava il Conte Lucchini sembrava quasi eccitarsi, e l'avvocato Magnani lo osservò con molta attenzione. La descrizione del furto, sia pure approssimata, e quella della personalità del ladro dettata da tanto entusiasmo, gli parvero troppo realistiche per essere frutto unicamente della fantasia di un gentiluomo di garbo sì, ma lontano da qualsiasi tipo di scienza legale.

Nota 10

In pratica, il pubblico Ministero del tempo.

Fu così che l'Avv. Magnani parlò del fatto all'Uditore generale della Curia (nota 10), che rimase molto interessato delle deduzioni del Conte Lucchini, tanto da richiedere urgenti informazioni a Verona, da dove tale gentiluomo dichiarava di provenire.

7. Il Bargello in azione

Un uomo ben vestito, due mesi dopo il furto, bussò alla porta dell'appartamento del Conte Lucchini e dopo la presentazione, «Sono un incaricato del Bargello», fu introdotto da una fantesca alla presenza di Berenice.

«La mi scusi, illustrissima - disse l'uomo - ma ho da richiedere, per conto dell’autorità dello Stato, alcune informazioni sul Conte; informazioni, per altro, che lei sola saprà darmi.»

«Non le nascondo che la visita mi sorprende. Credo infatti che il Signor Conte potrebbe dare lui personalmente al Bargello tutte le notizie che vuole; nulla infatti ha nascondere.»

«Forse qualcosa sì. Abbiamo saputo, infatti, che anni fa egli fu imprigionato dalla Serenissima Repubblica di Venezia per conio di monete false e che riuscì ad evadere, costruendosi da solo, in carcere, dei duplicati di chiavi. Le Giunge nuova tale notizia?»


Gendarmi dell’epoca

«Non conosco da molto tempo il signor Conte, ma credo che lei sbagli persona. Null'altro potrei dirvi se non questo.»

«Vero! Ma ora qui a Bologna, alcune settimane fa, è stato commesso un furto, quello al Monte di Pietà, e sembra proprio che siano state usate chiavi false abilmente artefatte da uno che in materia ci sa fare. Anche di ciò, Signora, null’ella sa?»

«Nulla so nè potrei sapere.»

«Peccato. Perchè, vede, illustrissima, se lei sapesse qualche cosa e ce la dicesse, non solo la legge non la perseguiterebbe come complice, ma la ricompenserebbe e lautamente... Ed io credo veramente (qui il tono della voce del funzionario divenne cruda e minacciosa) che ad una puttana come te, queto sebbe molto comodo! vero Berenice dell'Osteria della Scimmia?»

La donna rimase silenziosa, poi ebbe uno scatto d'ira:

«Schifoso topo di fogna, quello che fui a te non interessa... Io non so di Lucchini e se anche lo sapessi, certamente non lo direi a te!»

«Oh, lo dirai, lo dirai. Grazie al cielo, nonostante gli illuminati riformatori moderni, esiste ancora la tortura che rende savi anche i più ostinati...»

Due sbirri irruppero nella stanza e legarono Berenice.

8. La tortura strumento di giustizia

Girolamo, incatenato nel sotterraneo di Palazzo d'Accursio, si teneva il viso fra le mani. Berenice l'aveva tradito vendendolo al Bargello. Non se ne capacitava. Credeva che fosse impossibile, ma non poteva essere altrimenti. Non aveva lasciato tracce, non avevano trovato il bottino, non sapevano chi e come avesse potuto compiere il furto... Solo Berenice, sapeva tutto e solo lei aveva potuto parlare.


Il torrione del Palazzo d’Accursio utilizzato come prigione e luogo di tortura

La voce dell'inquisitore gli rintronava ancora in testa:

«Tu hai rubato alla Confraternita del Monte di Pietà. Lo sappiamo, la tua concubina meretrice ce l'ha detto, ne abbiamo le prove. Confessa in nome di quel Dio che col tuo sacrilegio hai rifiutato. Se non puoi più salvare il corpo, salva almeno l'anima dicendoci tutto...»

Eppure non era convinto ancora. Confessare o meno, per lui non aveva i alcuna importanza; il suo sogno di realizzare un piano perfetto che pasasse alla storia era comunque fallito. Gli interessava solo sapere se la donna che tanto amava l'aveva tradito, poi poteva anche morire.


Il collare con cui Girolamo fu incatenato

La porta si aprì e preceduta dall'Uditore Generale, entrò Berenice legata tretta fra due gendarmi.

«Girolamo... » Urlò, ma nulla poté più dire perchè uno degli sbirri le blocco la bocca con una mano.

L'inquisitore si rivolse a Girolamo:

«Essa ha già confessato, ma ciò non basta alla giustizia. Tu stesso dovrai-raccontare il tuo reato e dirci dove hai nascosto il bottino. Sappiamo che il demonio ti possiede e ti ispira la testardaggine più nefanda ed eretica. e che tu non parlerai, ma sarà questa donna a parlare davanti a te sotto tortura. Per noi fa lo stesso... Procedete!»

La donna fu fatta inginocchiare a forza ed il boia le strappò la già logora camicetta; poi alzò minacciosamente la frusta in attesa di ordini. L'Uditore guardò Girolamo:

«Allora? - disse - Preferisci che la tua donna sia martoriata o vuoi confessare?»

Vi furono alcuni istanti di silenzio assoluto e nel malsano ed umido sotterraneo si udivano solo il flebile pianto di Berenice e l'angosciato affanno di Girolamo. L'uomo cedette.

«Fermi! Lasciatela libera. Confesserò.» Poi, rivolto a Berenice disse quasi sottovoce:

«Ti ho troppo amata perchè tu abbia a soffrire per colpa mia. Non ho fatto alcun male ad anima viva, non lo posso fare ora che sto per morire a chi ho amato più della vita stessa. Giacché giustizia ti ha concesso l’impunità per quello che hai rivelato, confesserò anch'io il vero, ma sappi che essendo stata tu a parte dei miei delitti, Iddio sarà quello che ti darà il castigo che meriti.»

Berenice guardò l'amante e fra il sorriso di sarcastica soddisfazione degli sbirri, sussurrò:

«Non ti ho mai tradito...»

9. Giustizia è fatta! Ma quale?


L’avviso di esecuzione di Girolamo

Quando il Conte Lucchini si avviò al patibolo, il 16 febbraio del 1791,  tutta Bologna andò ad assistervi, ma non per gioire come sempre accadeva nelle pubbliche esecuzioni capitali, ma per meditare ed essere spiritualmente vicino al reo.


Il busto che l’avv, Magnani fece fare al Lucchini

L'uomo che aveva preferito morire impiccato, piuttosto che far soffrire la propria donna era stato pienamente assolto, se non dalla giustizia, quanto meno dal popolo

L’amore continuava ad affascinare.

Nota 11

Storico. Sembra anzi che l'Avv. Magnani, nei casi legali più difficili, scrivesse le proprie arringhe sotto il busto di Lucchini da lui fatto fare appositamente, come monumento a perenne memoria di una sentenza di morte che mai condivise.

Nell'elegante studio dell'Avv. Magnani fece da quel giorno bella vista di sé il busto del Conte Lucchini (nota 11). L'avvocato era stato colui che, per senso di giustizia, aveva indirizzato la polizia verso chi aveva effettivamente attuato il «furtum magnum» al Monte di Pietà di Bologna; ma, al processo era anche stato l'accanito difensore del colpevole, non solo esaltandone l’altissimo ingenio e la profonda umanità, ma anche denunciando e condannando con la propria arringa l'assoluta iniquità dei mezzi e delle procedure in uso in quel tempo per instaurare i processi.

L'illuminismo si stava affermando.

FINE