Una storia leggendaria

RE OCNO

GIUNGE DALL’UMBRIA IL FONDATORE DELL’ETRUSCA FELSINA

 

 

    La riverisco, Maestà, e non le nascondo da buon bolognese, di trovarmi molto in soggezione davanti al mitico fondatore della mia città.

    Perché “mitico”?

    Perché nessuno ha mai potuto appurare se Felsina, cioè l'antica etrusca Bologna, sia stata fondata come dice la leggenda.

    Quindi, io sarei una leggenda? Ma scherziamo? Io sono realmente vissuto! E poi, perché mai si è sicuri che Roma sia stata fondata da Romolo, mentre non si riconosce che io abbia fatto altrettanto per Bologna?

    Bene, Maestà! Mi dica come sono andate le cose.

    Io abitavo in Perugia, dove regnava mio fratello Auleste, un ducetto da tre soldi sempre pronto a dubitare della fedeltà dei suoi sudditi. Figuria­moci se non si metteva anche a sospettare di me! Inizialmente non diedi molto peso alle sue fobie ed ai suoi sguardi minacciosi, poi, un bel giorno, mi rinfacciò apertamente di voler usurpare il trono e di voler la sua morte... cose da pazzi!

    Bèh, non tanto... capita anche oggi, se non per i troni, quanto meno per le poltrone.

    Fatto sta che mi scocciai! Gliene dissi quattro e m'allontanai da Perugia con la famiglia ed un gruppo d'amici. Preferii un esilio volontario, piuttosto che sottostare alla dittatura di Auleste e andai così alla ricerca di un posto che potesse sostituire la mia patria d'origine. Non fu facile trovarlo. Migrammo verso nord per mesi e mesi, attraversammo gli Appennini e, infine, ci apparve una grande pianura: un bel fiume formava una grande ansa per poi disperdersi all'orizzonte, mentre alcune colline verdeggianti costituivano una buona zona di caccia e, nello stesso tempo, di difesa. Sa dove eravamo arrivati?

    Sì, sul colle di San Luca.

    Esatto! L'insediamento, o, meglio, la presa in possesso della zona avvenne secondo le formalità del tempo: io, come capo supremo, scavai un pozzo profondo che avrebbe dovuto mettere in comunicazione la vita terrena con quella degli inferi; poi consultai gli "aruspici" che risultarono positivi; quindi disegnai con il flauto magico la forma che volevo dare alla città, come se la incidessi in cielo; infine, tracciai con l'aratro il solco che indicava i confini iniziali di Felsina.

    Quanta burocrazia! E il nome della città da dove lo prese?

    Da mio Figlio Felsino, al quale sarebbe andato il potere dopo la mia morte. Sa, il nepotismo ha origini molto lontane...

    Fin qui la leggenda...

    Ma lei è un bel tipo! Lo vuol capire che non è una leggenda, ma real­tà! IS poi, anche Fosse una leggenda, non è bello pensare che Bologna sia nata da un atto di libertà nei confronti di un despota, ma senza guerre, sangue, terrorismo? Mi sembra il titolo migliore per affondare le radici della mia e della sua città. Sullo stemma di Bologna vi è ripetuta per ben due volte la parola "Libertas". E allora, non le sembra meglio credere ad un mito piuttosto che arrampicarsi sugli specchi d'interpretazioni più o meno astruse?

    Va bene, maestà, non s'arrabbi! Che il mito sia bello, nessuno lo mette in dubbio, però... Ma andiamo avanti con la storia. Eravate soli in quel luogo, oppure v'erano altre popolazioni?

    Sotto la nostra collina, nella zona compresa fra il grande Fiume ed un torrente ad esso parallelo...

    ... il Reno e il Savena!

    ...esistevano numerosi villaggi di gente insediata lì da molti anni. Voi li chiamiate Villanoviani, se non sbaglio e costituivano una civiltà molto avanzata e d'indubbio valore. Inizialmente i rapporti non Furono molto tesi, anche se, come nuovi venuti, noi ne avevano ristretto il dominio.

    Quindi è presumibile che il vostro arrivo non fosse stato così pacifico come mi è sembrato di capire.

    Occorre vedere cosa si considera con la parola "pacifico". L'importante era, allora, per un villaggio, salvaguardare il proprio habitat che rappresentava il territorio esclusivo d'approvvigionamento e sussistenza della tribù, ma se un giorno la caccia o la pesca entro i propri confini era andata male, si provava altrove, superando i limiti giuridici e passando nel territo­rio di altri... insomma si sconfinava. Se gli altri se ne accorgevano, allora si veniva alle mani e, talvolta, ci scappava anche il morto.

    Quindi eravate sottoposti ad una notevole tensione?

    Più o meno come adesso, che se uno esce per fare la spesa può andare sotto un'automobile. A parte gli scherzi, la nostra vita era certamente dura, anche se semplice. Gli uomini "timbravano il cartellino" all'alba e tornavano al tramonto con il cibo. Le donne accudivano al villaggio e allevavano i figli. Le inflazioni - come le chiamereste voi - erano rappresentate da un periodo di carestia o da un inverno troppo lungo. La sera ci sedevamo davanti alla televisione, ...scusi!.... davanti al fuoco e ascoltavamo i telefilm trasmessi dalla voce dei vecchi. Tutto qui!

    Pian piano, però, Felsina da piccolo villaggio, diventa una città, tanto che Plinio la definisce come la principale di tutta l'Etruria. Come avvenne questo sviluppo?

    Praticamente assorbendo le popolazioni confinanti, quelle con cui inizialmente contendevamo la caccia. Ad una ad una le riunimmo in un unico centro urbano i cui limiti li possiamo identificare nella zona Ovest di Bologna. Consolidata questa struttura, cui corrispondeva un allargamento del territorio ad essa circostante, ci si volse verso il mare e l'influenza politica ed economica divenne ben più vasta.

    Quanto?

    Notevolissima, per l'epoca. Dall'ansa del grande Fiume arrivammo fino all'Adriatico. Allargando i commerci (Grecia e Paesi balcanici erano i nostri partner economici e ci rifornivano di vasellame e materie prime) fu necessario semplificare i nostri traffici d'importazione, per cui dovemmo conquistare il porto di Spina, per collegarlo a Felsina con via fluviale, più spedita e sicura.

    E con Roma, la potenza nascente?

    Le cose non andavano malissimo. Fummo anche suoi alleati contribuendo con un nostro contingente a far sì che Enea potesse vincere la sua guerra contro i latini. Roma non c'era ancora, ma con Enea è molto prossima la sua Fondazione.

    Poi appaiono all'orizzonte i Galli e, dopo due secoli di splendore, Felsina improvvisamente decade.

    Purtroppo sì, anzi!, scompare addirittura, tanto che sotto l'invasione dei Galli, essa perde la sua struttura di città, per diventare un misto di villaggi male assortiti. Anche il nome è cambiato. I Galli la ribattezzano Bona, che nella loro lingua, significa semplicemente città. Felsina non esisterà più!

    I Bolognesi, però, sono ancora chiamati Felsinei, il che, dopo cinque secoli, può essere per lei una grande soddisfazione.

    Lo sarebbe certamente, se gente come lei non continuasse a credere che io sia un mito o, peggio, una leggenda senza fondamento.

    Cosa vuole, Maestà, stiamo attraversando un periodo di grande concretezza storica, per cui o ci sono documenti e reperti, oppure nulla è credibile.

    Pazienza! Vuol dire che resterò soltanto un mito. Ai miei tempi non esistevano né l'anagrafe, né gli uffici del registro e più che raccontare di persona i Fatti, non posso fare.

    La riverisco, Maestà, e grazie per l'intervista.