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 Lo studio del Diritto IRNERIO NASCE A BOLOGNA  —   
  Lei, Professor Irnerio, è considerato il
  fondatore dello Studio bolognese, la più antica università del mondo.
  Com’ebbe origine questa famosissima istituzione? —   
  Maximum gaudium mihi est de bononiense
  Studio lo quale… —   
  Scusi se la interrompo, professore, ma è
  meglio che parli in italiano. Il latino, ora, non si studia neppure a scuola —   
  Misfatto atroce è questo… oh tempora, oh
  mores! Ordunque, in lingua vulgare traducendo, dicevo che il parlar dello
  studio mi è assai grato et eziamdio lo narrare è bello di come in Bononia i
  natali ebbe…. —   
  Siamo sempre sul difficile, professore, ma
  proseguiamo! —   
  Come sovente avviene a li uomini, pur’io fui
  inviato ad altra arte che non l’apprendimento delle leggi e dòcere, ma il
  fato volle che un viaggio a Roma ed un fortunoso incontro con le “Pandette” e
  con lo studio dell’antico diritto, spinsero me per altra via. Così… —   
  Non professore, così non va. Mi scusi ma debbo
  avvalermi della traduzione simultanea. —   
  Dicevo che, pur essendo stato avviato verso
  altra attività, fui ad un punto affascinato dalle leggi civili dell’antica
  Roma, contenute e raccolte nei codici di Giustiniano. —   
  Così va bene! —   
  Compresi la loro grandezza e iniziai a
  studiarle e ad insegnarle a Bologna, mia città d’origine, suscitando un
  notevole interesse fra i giovani, amanti come sempre delle novità. —   
  Cosa spingeva, oltre la novità, ad ascoltare
  i suoi insegnamenti? —   
  Ritengo fosse un’esigenza del tempo.
  Superato da poco il fatidico anno mille, eravamo, come voi dite, in pieno
  “Medio Evo”. Le uniche leggi esistenti erano quelle applicate dispoticamente
  dai feudatari o dai signorotti locali soggette a privilegi ed interessi
  personali, oppure dalla Chiesa, astratte e non codificate. Le leggi romane,
  invece, avevano un carattere di universalità e di applicabilità pratica da
  affascinare chi, come i giovani, aspiravano ad una giustizia reale. —   
  Lei fu il primo dei “glossatori”; cosa
  significa tale termine un po’ astruso, almeno per noi moderni? —   
  Io e i miei discepoli annotavamo sul testo
  originale del libro, nei margini o fra riga e riga, osservazioni e chiarimenti
  al loro contenuto… —   
  Abitudine che gli studenti hanno ancora… —   
  Mi fa piacere… Queste annotazioni si chiamavano
  “glosse” e da lì la qualifica attribuitaci. Le voglio raccontare un simpatico
  aneddoto per chiarire meglio le funzioni di queste glosse: fra noi docenti
  c’era un “bel tipo” che univa l’insegnamento all’ironia, ebbene, accanto ad
  una legge romana che sanciva come le donne dovessero essere considerate
  maggiorenni prima degli uomini, egli glossò: “Sì, perché le donne sono come
  le male-erbe, crescono più in fretta!” —   
  Simpatico, sì, ma un po’ antifemminista! —   
  È un termine che non conosco. A proposito
  delle glosse, non le nascondo le notevoli difficoltà per poterle applicare ed
  i litigi con mio padre, quando scoprì che usavo questo sistema. Non riusciva
  a capire perché dovessi rovinare i libri che, allora, costavano un capitale…
  Poi la mia notorietà, il fatto che mi stessi affermando e l’apprezzamento che
  il mio sistema didattico otteneva nel mondo intero, lo convinsero pian piano
  a cambiare idea… Ma io credo che nel suo intimo egli abbia sempre continuato
  a considerare le glosse come un modo barbaro di trattare i libri. —   
  Lei, professore, era anche “lettore” dello
  Studio. Che cosa significa? —   
  Una volta glossato il testo, lo si leggeva
  con le annotazioni agli studenti e da qui nacquero due termini: “lettore”
  ovvero docente – ormai in disuso – e ”lezione”, ancora in auge, sebbene ad
  essa si stiano sostituendo termini come “seminario”, “collettivo”, “stage”,
  ecc. —   
  Professore, Bologna è stata davvero la prima
  università del mondo? —   
  Per molti avvenimenti importanti, la
  paternità è molto dubbia: basti pensare alla scoperta dell’America,
  all’invenzione del telefono, alla realizzazione del vaccino antipolio… Anche
  l’istituzione della prima università è contesa da molte città, ma si
  tranquillizzi: Bologna fu la prima! —   
  E Pavia? —   
  È da escludere! Come capitale dei Longobardi
  la sua scuola divulgava solo leggi di quel popolo, niente di universale, come
  invece la materia insegnata a Bologna. Quando io incominciai a tenere lezione,
  verso il 1090, già antico era il detto “Petrus ubique pater, legumque Bononia”,
  ovvero: “Pietro padre del mondo, Bologna madre delle leggi”. —   
  Sulla nascita dello studio, c’è anche chi lo
  vuole operante nel  —   
  Leggenda, senza dubbio! Per la verità, un
  atto formale e giuridico di questo tipo esiste, ma è di epoca ben successiva:
  fu infatti concesso dalla Contessa Matilde di Canossa nel 1113. L’anno comunque
  è sufficiente per annullare tutte le pretesa di Pavia, Oxford, Padova e
  Parigi di essere state sedi della prima università del mondo. —   
  Nel 1200, Bologna, in ragione della sua
  università, era forse la città più cosmopolita del mondo: su 30.ooo abitanti,
  ben 12.000 erano studenti e, fra questi, francesi, spagnoli, tedeschi,
  fiamminghi, inglesi, ecc. Dai tempi in cui insegnava lei, professore, era un
  incremento più che notevole. —   
  Senza dubbio, ma non credo che
  l’internazionalità dello Studio abbia dovuto aspettare tanto tempo. Già nel
  1158, alla Dieta di Roncaglia (una specie di conferenza al vertice del tempo)
  vennero chiamati a dirimere problemi giuridici fra il Barbarossa ed i comuni
  lombardi, Bulgaro, Martino, Jacopo e Ugo, massimi giuristi bolognesi e – mi
  scusi l’immodestia – tutti miei allievi. Erano passati solo alcuni decenni
  dalla fondazione dell’Università di Bologna e già i suoi docenti erano
  arbitri delle giustizia internazionale. —   
  Una bella soddisfazione, come quella che lei
  ebbe alla fine della sua carriera, in occasione della nascita del Libero
  Comune di Bologna. —   
  Sì, toccò a me, infatti, “far da notaio”
  all’atto di riappacificazione fra impero e città, siglando, a garanzia, il documento
  finale.Vorrei chiudere quest’intervista, professore, con una domanda un po’
  particolare: preferirebbe insegnare ancora come “lettore” dello Studio,
  oppure come “docente” dell’Università moderna? —   
  Se ne fossi all’altezza insegnerei oggi! È
  un periodo denso di reali riforme, di trasformazione dei concetti di
  insegnamento e della volontà di apprendimento; io che ai miei tempi fui considerato
  un rinnovatore, perché insegnavo materie nuove ed in modo diverso dalla
  tradizione, mi sento molto vicino ai professori ed agli studenti di oggi, che
  veramente desiderano una scuola migliore. —   
  Migliore, in che senso?… Perché qui sta il
  punto! —   
  Ai miei tempi lo Studio era degli studenti,
  nel senso più lato della parola: eleggevano i rettori in assemblea; sceglievano
  i professori e li pagavano; si davano le leggi per gestire l’università. Ma
  ciò che più può impressionare è che gli studenti vivevano con i professori,
  in un rapporto più di intimità che di dipendenza. Capisce? In fondo, molte
  cose che si chiedono oggi erano già in atto più di nove secoli fa… almeno mi
  sembra. Comune sia, anche in questo caso, vale proprio la pena di dire “Bononia,
  alma mater studiorum” —   
  E noi aggiungiamo “Nunc et semper”, ora e
  sempre! Grazie professor Irnerio. |