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State leggendo il romanzo giallo SHERLOCK HOLMES A BOLOGNA di Sandro Samoggia

 

INDICE GENERALE DEI SITO

 

INDICE DEL ROMANZO

INDICE “STORIA E FANTASIA

 

CAPITOLO 5
Hotel Brun , 28 giugno 1885, ore 10

 

Erano passati due giorni dal modesto ma appetitoso pranzo fatto all’Osteria del Sole durante il quale eravamo venuti a conoscenza dei fatti accaduti la notte in cui Coltelli era stato assassinato, e la mia impressione era che ben poco fosse stato aggiunto a ciò che già conoscevamo; Holmes, invece, era di tutt’altro parere e mi fece capire di aver trovato molto interessante e proficuo quello che ci avevano raccontato “Ioffa.”

«Oltretutto – aggiunse sorridendo – quel bel tipo suona divinamente la fisarmonica!»

Il giorno dopo il pranzo all’osteria del Sole, il Conte Paleotti ci aveva riferito di avere rintracciato la Zerbini e di averla convinta ad incontrarci da lì a due giorni, a metà mattina. Ci disse anche che il fatto che risiedessimo in quell’hotel aveva davvero molto incuriosita la donna, non avendo mai frequentato un ambiente di quel livello e che, anzi, proprio questa era la ragione più convincente per incontrarci e a parlarci del fattaccio di cui era stata protagonista. Erano le 10 del mattino quando il cameriere di stanza, quello che conosceva l’inglese, venne ad annunciarci che sotto c’era una certa signora Enrica Zerbini, precisandoci ch’essa affermava di essere attesa da noi.

«E’ vero!– confermò prontamente Holmes– Falla pure accomodare, ma prima dimmi come ti chiami.»

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Luciano Sabattini
(foto d’epoca indicativa del personaggio

«Luciano Sabattini»

«Bene, Luciano, e come mai conosci l’inglese?»

«Quando si è poveri si va anche lontano per poter mangiare ed i miei fecero così. Andarono a lavorare in miniera in Inghilterra portandomi con loro. Avevo otto anni. A ventuno sono tornato qui e qui ho trovato un nuovo lavoro, questo, proprio perché conoscevo l’inglese.»

«Complimenti, Luciano. Te l’ho chiesto perché mi serve un favore.»

«Mi dica pure, signore.»

«Vorrei che mi facessi da interprete con la signora che c’è sotto e che verrà qui da noi.»

«Interprete?… Ma io credevo che la signora fosse venuta qui per qualcosa… come dire?... che non ha bisogno d’interprete!»

Io ed Holmes non potemmo fare a meno di sorridere guardandoci l’un l’altro, anzi di ridere divertiti. Mi avvicinai a Luciano, gli misi una mano sulla spalla e gli allungai una sterlina d’oro: «Questa è tua, per il servizio che ci farai. La signora è qui per tutt’altro che non per quello che hai pensato tu. Ora falla accomodare e resta con noi a fare l’interprete.»

«Volentieri … Lor signori mi scusino se ho potuto pensare … ma la signora è talmente bella!»

«Sì, lo sappiamo, ma ora vai e torna qui con lei, ma prima fai predisporre una bella colazione di sotto, al caffè dell’albergo, che poi scendiamo a godercela.»

Luciano assentì e fatto un breve cenno d’inchino, si allontanò.

Holmes accese la pipa e, cosa molto inusuale per lui, espresse la proprio curiosità di conoscere quella donna che al momento aveva già affascinato, sia pure a livelli diversi, un ricco commerciante (il Coltelli), un notabile (A. P.), un ubriacone amante della musica (“Ioffa”) e un povero servo (Luciano).

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Un interno dell’Hotel Brun

«Se è per questo – aggiunsi io – c’è anche un nobile da aggiungere alla lista, il nostro caro amico Paleotti, il quale, nonostante mostri una certa titubanza nei confronti di questa Enrica, non rimase certamente insensibile al suo fascino quando la incontrò la prima volta nel negozio di Coltelli! E ce lo ha anche raccontato!»

«Caro dottor Watson, non si rende conto che così dicendo lei pone fra gli indiziati dell’omicidio, anche il nostro cliente? Colpo di fulmine per Enrica, gelosia per Coltelli, assunzione di un sicario, eliminazione di Coltelli e, quindi, campo libero per lui nei confronti della donna! Trama perfetta per un omicidio e, soprattutto, movente credibile e usuale.»

«Spero che lei, Holmes, stia scherzando! O forse vuole diventare anche lei un romanziere? A me non è passato per la testa nulla di tutto quello che ha detto!»

«E’ questo il guaio! Dirlo senza aver pensato …»

Mi sentii un po’ offeso per questa considerazione malevola nei miei confronti e forse avrei anche ribattuto aspramente ad essa (creando però un odioso ed inedito alterco fra noi), ma per fortuna in quel momento, dopo aver bussato e chiesto permesso, entrarono Luciano e la Zerbini che interruppero la nostra discussione; fui io, infatti, a dover in un certo qual modo fare le presentazioni e spiegare la ragione per la quale avevamo voluto parlare con la donna, la quale, per altro, rimase molto sorpresa dal fatto ch’io parlassi una lingua incomprensibile. Poi, con l’intervento di Luciano, tutto le parve chiaro tanto da aprirsi in uno smagliante sorriso che fece rimanere a bocca aperto lo stesso Holmes.

«Forse –sussurrai piano al mio amico – dobbiamo aggiungere un nuovo indiziato alla lista degli affascinati da Teresa, un grande investigatore inglese! E non parlo senza averci pensato sopra!»

Holmes non raccolse, ma mi guardò truce, mentre ci stavamo sedendo nella zona salotto della camera, davanti alla grande finestra che dava sulla strada; invitammo anche Luciano a sedersi con noi, ma lui rifiutò forse perché consapevole della sua condizione di servo. Quando, però, gli sussurrai di mettersi vicino alla signorina Enrica per farle meglio capire ciò ch’egli avrebbe dovuto tradurle, lui non esitò più e dopo un «… se sua signoria proprio insiste…», avvicinò una sedia alla donna e finalmente le si accomodò accanto.

A questo punto il mio amico cominciò la sua “chiacchierata”: «Come lei sa, Signora, vorrei parlarle di ciò che accadde la notte in cui fu ucciso il signor Coltelli; spero di non suscitarle ricordi troppo tristi.»

«Innanzitutto sono signorina … – tenne a precisare la donna – Poi le debbo dire, caro il mio signor “Cerloccolmo”, che i veri ricordi tristi non sono quelli che lei pensa, ma quelli che si riferiscono all’arresto, agli interrogatori e alla reclusione che dovetti subire.»

«M’interessano molto anche questi momenti, signorina, ma per il momento restiamo ai fatti di quella famosa notte.»

«Beh, Coltelli io non l’ho ucciso, né ho contribuito a ucciderlo! Questo sia subito chiaro.»

«Se vuole sapere il mio parere, le dirò che sono convinto della sua innocenza ed è per questo che desidero parlarle. Io voglio scoprire chi ha veramente ucciso Coltelli e sono certo che lei mi aiuterà in quest’intento.»

«Allora lei non può che essere un mago! Solo un mago può scoprire un assassino che neppure l’avvocato Busi ha saputo scoprire!»

Io non potei fare a meno di guardare fissamente Holmes e di sorridere divertito … Chiamare mago un razionalista come lui sarebbe stata una vera e propria ingiuria, ma quella donna era troppo bella e alle donne troppo belle si permette tutto e, soprattutto, si perdona tutto.

«Non sono un mago, signorina, sono un investigatore privato ….»

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La facciata del Teatro del Corso, prima della distruzione bellica

«Non so cosa vuol dire investigatore privato, ma l’importante è che lei non sia un mago. Deve sapere, signor “Cerloccolmo” che qui a Bologna, i maghi non hanno una vita facile … Si faccia raccontare da Luciano cos’è successo l’altro giorno al Teatro del Corso, dove si è esibito un mago col suo fantasma... Vero Luciano?»

Luciano si mostrò molto imbarazzato: «Per prima cosa, signorina, questo è il signor Sherlock Holmes…»

«Ed io cos’ho detto?»

«Beh, lasciamo stare … poi non racconterò certo a questi signori il fatto del “Di' ben so fantesma…” credo proprio che a loro non interessi.»

«Ha riferimento con l’omicidio Coltelli?» Chiese Holmes.

«Assolutamente no!»

«Beh, allora lasciamo stare davvero… Un momento, però… Lei signorina ha citato un certo avvocato Busi, lui ha qualche cosa a che vedere con il caso Coltelli?»

«”Soccia”, se ha a che vedere!... E’ stato l’avvocato di parte civile che difendeva A. P.»

«A.P., un suo amante, per caso?»

«Se ne son dette tante di balle, che anche questa va messa nel mucchio! Non era mio amante ed io non ho rubato nulla per lui… anche se l’ho detto… ma quando si è sotto torchio si dice di tutto!»

«Oggi non è sotto torchio e, quindi, io le credo, signorina. Ma ora cambiamo discorso. Mi hanno riferito che quella famosa notte, mentre era nascosta nello stanzino, lei abbia sentito degli strani rumori che l’hanno spaventata a morte. Io la credo, signorina, ma non è questo che importa. Mi interessa invece sapere se, poco prima di quei rumori, che ritengo fossero all’interno della casa, lei ne abbia sentiti altri provenienti dall’esterno.»

«Parla di rumori strani, diversi dai soliti?»

«No, non necessariamente… parlo di rumori, quelli che erano, non importa com’erano… rumori!»

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Lo spegnimento di un fanale a gas
a Bologna fatto dal gasista

«Non mi sembra proprio … Sì… c’è stata una carrozza che è passata… ma non credo che possa interessare… Me lo ricordo, perché ho pensato che mi sarebbe piaciuto chiamarla e farmi fare un giretto per Bologna. Era da tanto che non uscivo di notte! Di notte la città è così bella, una vera meraviglia, con tutti quei fanali a gas che hanno messo per le strade e che la illuminano.»

«Sì, credo anch’io che sia molto bella davvero e non mancherò di farvi un giretto in carrozza di notte. Ma mi dica, signorina, quella carrozza che è passata, come dice lei, è davvero passata, oppure ha rallentato o si è addirittura fermata?»

«Oh, no, non glielo saprei proprio dire. La carrozza l’ho sentita arrivare, questo è certo, ma poi… no! Non ricordo, né mi viene in mente qualche particolare che mi possa far ricordare.»

«Pazienza… l’importante e che abbia sentito la carrozza arrivare… Ma sempre che se lo ricordi: quel rumore di carrozza l’ha sentito anche dopo, quando in casa è tornato tutto tranquillo e lei è uscita dal suo nascondiglio?»

Piegando il capo leggermente, Enrica si pose una mano sul viso, davanti gli occhi, come per concentrarsi e rivivere quel momento che Holmes le aveva riportato in mente. Stette qualche attimo, in silenzio, poi assentì: «Sì, mi sembra proprio di sì. Ora che me lo ha chiesto, mi sembra proprio di sì.»

Holmes si alzò dalla poltrona su cui era seduto e chiese a Luciano se aveva predisposto tutto per la colazione. La risposta fu rassicurante: «Certamente, è tutto pronto nel caffè dell’Hotel, giù da basso. Aspettavo solo che lei avesse finito l’interrogatorio, per accompagnarvi.»

«L’interrogatorio è già finito!»

Luciano non poté evitare uno sguardo sorpreso, come se volesse dire “tutto qui?” e, forse, anch’io in quel momento ebbi la stessa espressione di incredulità, nel rivolgermi a lui per chiedere spiegazioni. «Holmes, scusi la mia ignoranza, ma non capisco come mai per un interrogatorio che a suo dire avrebbe dovuto risolvere il caso, lei ha fatto solo due domandine terra terra...»

«Evidentemente non mi serviva altro. Ora, però, possiamo andare a fare colazione e spero che la signorina gradisca essere nostra ospite.»

«Certamente.»

Luciano si alzò dalla sua poltrona ed uscendo dalla stanza ci invitò a seguirlo. Notai che Enrica ne guardava i movimenti con una certo interesse, cosa che mi fece ancora un volta sorridere, e che, fece sorridere anche lei, quando mi vide farlo: sembrava voler sottintendere (ma poi non troppo) che sì, quel ragazzo non era affatto male.

Mentre scendevamo al piano terra, io ed Holmes ci scambiammo alcune parole:

«Scusi, sa, Holmes, – gli chiesi – ma perché è così importante aver saputo che l’assassino è andato a commettere il suo delitto in carrozza?»

«È del tutto irrilevante, Watson! L’importante non è come sia andato, ma il perché sia andato in carrozza.»

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Il Cortile cinquecentesco dell’Hotel Brun in una foto d’epoca

«Certe volte proprio non la capisco!»

Intanto avevamo raggiunto la caffetteria dell’Hotel Brun, che si apriva su di uno splendido cortile cinquecentesco con loggiato in cotto com’erano in cotto tutti i suoi particolari e gli ornati; un vero splendore. Qui erano stati posti degli angoli-salotto, corredati da poltroncine in vimini con soffici cuscini in damascato d’oro, tavolini anch’essi in vimini e con piani di cristallo su cui erano posate tovagliette in pizzo; attorno, grandi vasi di piante che refrigeravano l’ambiente e rendevano ogni angolo più riservato. Su di uno dei tavolini era posto un grande vassoio ricolmo di pasticcini, tre tazze ed una fumante cuccuma di caffè. Qui ci sedemmo e Luciano versò il caffè, offrendo poi la prima tazza ad Enrica. Holmes sembrò non voler essere da meno e porse alla donna il piatto dei pasticcini, perché scegliesse quelli che più gradiva. Di rimando ricevette un sorriso smagliante che lo lasciò decisamente interdetto ed io non riuscii a nascondere un nuovo sorriso d’ironia nei confronti del mio amico che vidi per la prima volta davvero impacciato. Per venirgli incontro (e anche per creare un diversivo), invitai Luciano a far colazione con noi.

«Te la sei meritata.» Gli dissi

«Eccome se se l’è meritata! – confermò con entusiasmo Enrica – È proprio bravo!»

Il vero diversivo, però, lo creò Holmes, il quale ebbe a ritornare su di un argomento che avevamo lasciato in sospeso durante l’interrogatorio (o meglio la breve chiacchierata) fatta quand’eravamo in camera: «Lei, Signorina – ricordò – mi ha detto che i suoi veri tristi ricordi non sono quelli di quando era nascosta terrorizzata nello sgabuzzino, ma quelli che si riferiscono al successivo fermo di polizia, agli interrogatori e alla reclusione che subì.»

«Lei, signor “Cerloccolmo”, ha una buona memoria! Sì quelli furono momenti decisamente pesanti e difficili da affrontare.»

«Me ne vuol parlare? Potrebbero essere utili all’indagine.»

«E perché no? Con una colazione come quella che mi ha offerto si affrontano cose ben peggiori che raccontare qualche sventura…. Anzi le riferisco quello che a mio avviso fu il momento peggiore, quello in cui, quand’ero in prigione, venne ad interrogarmi il Procuratore del Re…»

 

Anni prima…
in San Giovanni in Monte, il 27 dicembre 1882, alle ore 18

 

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Il Procuratore
(Foto d’epoca, indicativa
del Personaggio)

«Allora, signorina Zerbini, mi dica, finalmente, in quale punto della casa dell’Orefice Coltelli si trovava e cosa faceva prima di scoprirne il corpo massacrato. Siamo fra le 21 e le 21,30 del 19 corrente. Sia sincera e non dica più bugie.»

Il Procuratore era una persona paziente, in un certo senso comprensiva, ma quando assumeva un mandato giudiziario, a prevalere era la rigidità del comportamento; ma non una rigidità esasperata e fine a se stessa, bensì meditata e compenetrata nel rispetto intransigente della legge e, perché no, dell’imputato che aveva di fronte. Stava seduto ad una scialba e spoglia scrivania di legno sbucciato e consunto su cui erano due o tre fogli, un calamaio con penna, una carta assorbente ed una grossa candela accesa. Ritti, accanto alla donna, stavano due carabinieri corrucciati e apparentemente estranei a quanto si stava svolgendo in quel locale carcerario.

«Allora, signorina Zerbini, si vuole decidere a darmi una risposta?»

La donna era sempre bella, anche col grigio camicione di canapa della reclusa e anche se stava seduta scompostamente su di una scomoda sedia di legno e a testa bassa, di fronte al Procuratore.

«Non vuole rispondere?» Insistette il Procuratore.

«No, non è che non voglio rispondere, è che se rispondo, lei lo dirà in giro e tutti sapranno le cose ch’io non voglio che si sappiano.»

«Io non dico nulla in giro, io dirò solo ciò che interessa all’inchiesta, e sempre che a uccidere Camillo Coltelli sia stata lei.»

«Ma io non ho ucciso Coltelli, come glielo debbo dire.»

«Io le potrei anche credere, signorina, ma lei mi deve dire qualcosa che faccia sì che a crederle sia il giudice. Per esempio, in quale punto della casa dell’Orefice Coltelli si trovava e cosa faceva fra le 21 e le 21,30 dell’altro ieri?»

«Senta, io e Coltelli ci coricavamo assieme nel grande letto, ma non pensi subito male! È un modo come un altro per stare al caldo quando fa freddo come quest’inverno. A quell’ora di quella notte lui era già a dormire ed io ero nello stanzino di decenza per prepararmi. Quando ho sentito dei rumori strani, degli scricchiolii, qualche colpo indistinto, cupo, ho avuto paura, e mi sono nascosta come potevo nello stanzino, ma la porta era rimasta socchiusa e da lì ho potuto vedere una persona, o forse due, non sono sicura, sembravano ombre, che scavalcavano la finestra e che si aggiravano nella camera dove Coltelli dormiva. Solo quando è tornato il silenzio più assoluto e sono stata certa che di là non poteva più esserci nessuno, sono uscita dal mio nascondiglio e sono andata a vedere. Coltelli era nel letto in un lago di sangue. Ho provato ad uscire in strada, ma l’unica porta da cui potevo farlo era chiusa con i catenacci. Allora sono andata alla finestra e mi sono messa ad urlare.»

«Mi può spiegare il fatto che molti suoi indumenti sono stati trovati pieni di sangue.»

«Mi vergogno a dirlo …»

«Se non è niente di male me lo dica, è molto importante che io lo sappia.»

«Ma sa... Cose di donne…»

«Ho capito…»

«Infatti ero nello stanzino soprattutto per lavarmi e lavare quello che s’era sporcato di sangue.»

«Era sporco di sangue e con dei capelli sopra anche il martello che abbiamo trovato in un cassetto. Sa nulla di questo?»

«Assolutamente no. Non sapevo neppure che in casa ci fosse un martello.»

«Lei si rende conto che è molto difficile crederle.»

«Non so cosa farci signor giudice…»

«Procuratore, prego!»

«… signor Procuratore. Io sto dicendo tutta la verità e non ho ucciso Coltelli.»

«E allora cosa pensa che sia successo mentre era nello stanzino.»

«Se lo vuol proprio sapere, per me Coltelli si è suicidato.»

«Sì, con un martello trovato poi in un cassetto! Ma andiamo, signorina! Comunque, supponiamo pure che le cose siano andate come lei pensa, perché poi Coltelli si sarebbe suicidato?»

«Ultimamente mi sembrava molto preoccupato per l’andamento della sua bottega. Ho sentito dire anche che aveva male investito i suoi soldi … ma di questo non so nulla.»

«Fosse così, il suicidio sarebbe anche motivato. Ma allora cosa ci faceva quella persona o quelle persone che lei ha visto nella camera, sbirciando dallo stanzino?»

«Per la verità ero stanca, potrei essermi anche addormentata e aver sognato quello che poi ho creduto di aver visto.»

Il procuratore si alzò dalla sua sedia, fece qualche passo nella stanza in cui si trovava e, sempre silenzioso, si fermò davanti alla finestra che dietro la grata mostrava la semplice, ma pur tuttavia imponente facciata della chiesa di San Giovanni in Monte.

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S. Giovanni in Monte in una stampa del Basoli
(al centro il convento diventato poi carcere).

Poi, senza girarsi, scuotendo la testa e con voce pacata disse: «Lei capisce, Signorina, che è difficile, molto difficile, credere a quello che lei dice. In un precedente interrogatorio, ha dichiarato che a uccidere Coltelli è stato un sicario mandato da A. P.; oggi mi dice di aver visto delle persone entrare dalla finestra, ma non si capisce bene come possono averlo fatto, essendo la finestra a quasi quattro metri dal suolo; poi afferma che quelle persone forse se le è sognate; e ancora: prima fa capire che Coltelli sia stato ucciso da questa gente … “immaginata”…, poi, invece, asserisce con convinzione ch’egli si è suicidato, senza contare che è impossibile che ciò sia successo, visto che la causa della morte sono una quindicina di martellate in testa. Prima urla come un’ossessa dalla finestra, ma una volta aiutata ad uscire, parla di quanto accaduto con la massima calma e serenità. Le sembra logico e credibile tutto questo?»

«Quindi per lei sono una bugiarda?»

Il procuratore rimase imperterrito di fronte alla finestra, dando le spalle alla donna.

«Credo proprio di sì, signorina! Mi creda, lei non è assolutamente credibile!»

Enrica si alzò di scatto dalla sedia come esasperata, per sottolineare con più forza quello che stava gridando: «Io non so quello che è credibile, ma le giuro che tutto quello che le ho detto è la verità.»

I due carabinieri la fecero risedere con una certa decisione, mentre il Procuratore si girava verso di lei allontanandosi dalla finestra e guardandola fisso. Si sedette poi di nuovo alla scrivania, prese la penna in mano, ma prima d’intingerla nel calamaio e cominciare a scrivere si rivolse nuovamente alla donna con un tono decisamente d’accusa: «Mi dispiace, non le posso credere, signorina Zerbini, anche se lei giura di aver detto la verità. Penso che le cose si siano svolte in tutt’altro modo: Coltelli si accorge che lei gli ruba delle cose, forse dei gioielli…»

«Non è vero!»

«… e allora decide di licenziarla, sia come serva che come …. diciamo, governante …»

«Non è vero!»

«… questo gli costerà la vita, perché quella notte lei, signorina Enrica Zerbini, impugna il martello e lo massacra mentre dorme… »

«Non è vero!»

«… poi va alla finestra a chiamare aiuto … un aiuto inutile, perché per lei non c’era alcun pericolo, ma solo l’intento di far credere che l’assassino fosse un altro!»

«Non è vero, lo giuro!»

«Così s’inventa l’entrata dalla finestra di sicari, attribuisce le tracce di sangue alle mestruazioni, finge il tentativo di uscire da una porta che non sa come aprire; escogita la storia della brutta situazione economica dell’orefice e i rapporti poco chiari ch’egli aveva con quel A. P. che lei dichiara di conoscere benissimo… Tutte bugie, Signorina Zerbini, tutte bugie!»

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Carabinieri del 1880

«Non è vero! Quella notte, non solo ho visto l’uccisore del Signor Coltelli, ma l’ho anche riconosciuto! È Giuseppe Piccioni, un brutto ceffo prepotente e sempre pronto col coltello. L’ho anche visto spesso aggirarsi in via Orefici ed è possibile che sia anche entrato in bottega per parlare con Coltelli. Non l’ho detto prima, perché quel tipo mi ha sempre fatto paura e non so cosa avrebbe fatto se io avessi parlato di lui con la polizia.! Cercatelo e interrogatelo! Vedrete! Coltelli è stato ucciso da Giuseppe Piccioni, lo giuro!»

«Purtroppo è un giuramento, questo suo, a cui non posso credere. Farò comunque ricerche e verificherò questa sua nuova rivelazione, ma se non ci sarà alcun risultato, come sicuramente credo, mi vedrò costretto a rinviarla a giudizio, perché gli elementi di cui sono già in possesso mi fanno pensare che ad uccidere Camillo Coltelli sia stata lei. Spetta però al tribunale decidere se ciò sia effettivamente accaduto oppure no.»

Poi, rivolto ai due carabinieri il Procuratore comandò che Enrica Zerbini fosse riportata in cella. La donna esplose in un gran pianto e coprendosi il volto con le mani, si alzò lentamente dalla sedia.

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